Sessualità è parlare, soprattutto, di relazioni sociali, significa aprire un dialogo profondo con se stessi, con l’altro e la realtà che ci circonda.
Il mondo della sessualità è un mondo dove corpo, identità di sé e relazione sono fortemente collegate fra loro, è un mondo dove il...
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Il mondo della sessualità è un mondo dove corpo, identità di sé e relazione sono fortemente collegate fra loro, è un mondo dove il contesto socio-culturale rappresenta un limite o una opportunità allo sviluppo di un benessere sessuale.
Attraverso un approccio integrato, con l’intervento di una equipe di specialisti (sessuologi, andrologi, counselor, psicologi, ginecologi) ci rivolgiamo ai disagi nei seguenti ambiti:
disfunzioni sessuali maschili e femminili, infertilità, procreazione assistita, disturbi dell’identità di genere, parafilie, disagi adolescenziali, problematiche di coppia, menopausa e terza età.
Le pubblicazioni riportate in questo sito (video, articoli, pensieri...) sono il frutto di ricerche e riflessioni fatte nel tempo libero con...
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L'uomo, la comunicazione, la prospettiva - a cura di Roberto Ciabatti
Lo schema di interpretazione dal quale osserviamo la realtà diventa la realtà stessa. Ma se la realtà è un punto di osservazione apparentemente condiviso questo non significa che sia l’unico. Troppo spesso la settorializzazione della conoscenza chiude alla competenza, all’efficacia e quindi alla complessità. Ad esempio la psicologia fallisce laddove resta intrappolata nella sua categorizzazione, così come ogni sapere, nella difesa del proprio spazio conoscitivo. Una condizione che conosciamo benissimo e che chiameremo “sicurezza di schema”.
Ma se la realtà è un qualcosa al quale dare significato anche il codice condiviso sembra essere importante nella decodifica di una comunicazione. Ebbene se avessimo lo stesso significato e lo stesso codice non è detto che daremo comunque la stessa spiegazione alla sequenza di “immagini” di cui si compone l’esperienza percepita. La cosa sembra complessa ed in realtà lo è molto di più di quello che sembra.
Apparentemente un rompicapo irrisolvibile. Gli studi più comuni sulla comunicazione ci richiedono degli sforzi che difficilmente possono essere veramente compiuti. Fiducia nell’altro, empatia, ascolto attivo, ecc... condizioni umane importantissime ma ancora molto poco funzionali nella comunicazione stessa.
Cerchiamo un esempio che possa aiutarci a rendere comprensibile un concetto così impalpabile: sulla visione e descrizione di oggetti sparsi su di una scrivania, se osservata dalla stesso punto e se tutti gli elementi che vi si trovano sopra sono conosciuti, è molto probabile che due persone si possano trovare d’accordo. Se altresì la prospettiva dalla quale si osserva la stessa scrivania è diversa, un grande oggetto, ad esempio un vecchio monitor di un pc potrebbe nascondere dietro di sé alcuni oggetti ad una delle persone in questione. Quindi la cosa più normale che possa accadere è che io chieda all’altro cosa vede e mi fidi del suo punto di vista oppure che mi sposti ma non sempre è possibile. Nel caso che mi dica che dietro al monitor c’è un grande vibratore la mia percezione immediata sarà probabilmente di mettere in dubbio il suo commento o comunque di chiedergli se mi sta prendendo in giro in quanto la categorizzazione mentale alla quale sono solito fare riferimento mi rimanda ad una dissonanza tra elementi scrivania/vibratore. Da questo presupposto “in piccolo” devo rivedere la mia “sicurezza di schema” in una condizione più ampia della mia lettura di realtà.
Questo accade per comunicazioni semplici, su immagini “certe” e soprattutto su oggetti con “codici” precisi fogli, penne, contenitori, forbici, vibratore. Immaginiamo cosa possa accadere quando in gioco ci sono sentimenti ed emozioni, allora la realtà interpretata diventa un fantastico caleidoscopio pieno di colori e visioni che cangiano e cambiano nello stesso attimo al solo piccolo movimento quasi impercettibile di una mano.
Esiste la possibilità di districarsi in tutto questo?
Se rimescoliamo i saperi , se siamo disposti a cancellare la “sicurezza di schema” o perlomeno a metterla in discussione, se siamo disposti ad una apertura nella conoscenza dell’uomo (ma soprattutto di noi stessi) in tutte le sue sfaccettature, non è detto che avremo comunicazioni efficaci ma perlomeno avremo una mappa che ci permetterà di comprendere cosa accade fuori da noi e dentro di noi.
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La relazione d'aiuto e il counseling telefonico - a cura di Marco Mondani e Massimiliano Casini
Il counseling telefonico si presenta come una particolare modalità d’intervento del counseling e conseguentemente condividerà con questo le sue particolari cornici teoriche e metodologiche, seppur con alcune differenze. E’ una relazione d’aiuto che permette agli utenti di focalizzare maggiormente la natura delle loro difficoltà; risulta necessaria un’adeguata analisi della domanda al fine di chiarire assieme all’utente le aspettative veicolate dalla richiesta di aiuto. La funzione del counselor è quella di rimandare alla persona la responsabilità delle sue scelte e del percorso che intende intraprendere, accompagnandola verso la soluzione che meglio risponde ai suoi bisogni. In tal senso la consulenza telefonica sostiene l’utente nel superare gli ostacoli della sua crescita personale chiarendo ed elaborando le difficoltà presentate.
Questa particolare forma di relazione d’aiuto si rivolge ad un ampio universo di persone, tutte con le proprie particolari problematiche e quindi con i propri specifici bisogni. Di fronte a queste diverse esigenze, anche d’intervento, sono nati in Italia molti centri di counseling telefonico o help line. Nel tempo tali servizi hanno investito e coinvolto problematiche e fasce d’utenza sempre più ampie ed eterogenee, migliorando con l’esperienza pregressa la qualità e l’efficienza del loro intervento.
Tra queste ricordiamo:
Telefono azzurro (nato per rispondere ad abusi e violenze su minori, oggi attivo anche per i genitori), telefono rosa ( creato per dare un aiuto a donne che abbiano subito violenza fisica, psicologica, economica e per parlare del loro disagio esistenziale), counseling telefonico sessuologico, telefono giovane, telefono amico, SCOT (per omosessuali) e svariate altre linee per problemi esistenziali, tossicodipendenze, sieropositivi, anziani ecc…
La domanda che per prima ci siamo posti è stata: il counseling telefonico può davvero considerarsi counseling?
Innanzi tutto nel counseling telefonico, ovviamente, viene a mancare lo spazio fisico, la stanza con i relativi arredamenti disposti ad hoc entro la quale avviene il contatto e che sarà controllabile dal counselor secondo il suo stile e secondo le proprie convinzioni. Il setting così inteso, come si può intuire, non esiste poiché viene a mancare, e l’ambiente fisico, e il contatto corporeo tra gli interlocutori.
Tutto questo non implica che il setting non esista, poiché quest’ultimo è lo scenario in cui si svolge la relazione terapeutica e comprende sia le condizioni materiali (lo spazio, ma anche il tempo e le regole specifiche dell’intervento), sia l’atteggiamento relazionale del counselor. E’ importante che le regole del setting siano rigorose ma non rigide, in grado cioè di garantire le funzioni di holding (sostegno) e di contenimento, ma anche di esplorazione e plasticità.
Si noti quindi che manca lo spazio ma non per esempio il tempo.
Il tempo nel counseling telefonico può variare in rapporto al tipo di intervento ma generalmente si tratta di telefonate di 40-50 minuti. Il minutaggio può essere stabilito, tra l’altro, in merito agli studi di psicologia generale sul tempo medio di attenzione che un soggetto è in grado di mantenere nel tempo. Da questi esperimenti è stato osservato che il tempo medio in cui siamo capaci di mantenere un livello adeguato di attenzione, prima che questo decada, è diverso tra uomini e donne e si attesta per i primi intorno ai 30-40 minuti, e per le seconde tra i 40 e 60 minuti.
Oltre a questo il tempo dell’”incontro” rappresenta per il cliente un tempo sui generis, un tempo in cui riflettere su di sé e sulle proprie problematiche; per il counselor si tratta, invece, di un tempo di lavoro. La diversità ontica dei due tempi può essere alla base di fraintendimenti e di ostacoli alla relazione. La persona che parla di un suo problema e che si trova a rivelare sentimenti e pensieri intimi e profondi, non può accettare emotivamente l’idea di essere “un caso”, uno dei tanti clienti. Ha bisogno di sapere che la sua soggettività è preziosa e importante anche per il counselor, che ciò che sta dicendo viene ascoltato e considerato. Se il counselor mostra di affrettare la conclusione dell’incontro per qualsiasi motivo, è inevitabile che l’interlocutore reagisca negativamente, in modo più o meno palese e che la relazione venga vissuta come insoddisfacente e frustrante.
L’impossibilità di avere un incontro vis a vis con il cliente, rimanda ad alcune differenze tra il counseling telefonico e quello faccia a faccia; non solo non abbiamo una stanza fisica che contenga l’utente e il counselor e solo loro, ma non possiamo nemmeno vedere, toccare o sentire l’odore del cliente. Questo implica che ci verrà a mancare gran parte della sfera della comunicazione non verbale che tanta importanza occupa nel veicolare i messaggi consci e inconsci tra due persone e attraverso la quale si lasciano passare i pensieri e gli stati d’animo meno ragionati.
I canali comunicativi del non verbale sono molti ma essi fanno comunque riferimento a due categorie: “Strumenti artificiali” e “Strumenti naturali”.
I primi,come dice la parola stessa, sono dati da tutti gli oggetti creati dall’uomo che, in modo biunivoco, consapevolmente o no, dicono qualcosa di noi e che spesso utiliziamo per mostrarci agli altri.
Questi strumenti sono tutti gli oggetti che indossiamo, gli abiti, l’auto che usiamo, e quant’altro rientra nel nostro mondo. Per renderci conto di quanto siano significativi, pensiamo, per esempio, alla facilità con cui ci creiamo un pregiudizio sulle persone non appena le vediamo (per non averne più paura e per economizzare tempi ed energie). Tale categorizzazione ci è resa possibile, anche se non sempre auspicabile, proprio dagli strumenti artificiali della comunicazione non verbale. Se vediamo un uomo distinto con la ventiquattrore e le scarpe lucide, che veste abiti firmati ed è appena sceso da un auto di lusso parlando al suo smartphone, difficilmente penseremo a lui come un senzatetto in cerca di lavoro!
Altri pregiudizi verranno poi insinuati dall’area degli strumenti naturali, all’interno della quale si definiscono tutti quei messaggi che continuamente sono veicolati dal nostro corpo. In questi includiamo la postura, la gestualità (movimenti casuali e automatici), la cinesica (movimenti codificati come per esempio il mostrare il pollice alto o verso), la mimica facciale (della quale il sorriso è un caso particolare, non codificabile e transculturale), lo sguardo, la prossemica (posizione dei corpi nello spazio e loro distanza; consideriamo come distanza neutra tra estranei ca. 1 metro, tra conoscenti ca. 50 centimetri, tra intimi ca. 30 centimetri), la digitale e il contatto (che potremmo considerare come un’espansione della digitale; differiscono tra loro per la porzione di corpo che entra in contatto con l’altro), la paralinguistica (tutti i suoni, anche verbali, codificati o no), la prosodia vocale.
Nell’ambito di una telefonata si può subire il fascino di una voce o di un modo di parlare e il fatto che non possiamo avere un’immagine visiva dell’altra persona fa si che saremo portati a crearcela, facendo voli pindarici con la fantasia e formandoci così un pregiudizio. Nasce così l’esigenza di riflettere sul dare o meno le proprie generalità (es. nome,descrizione fisica, ecc.) quando si risponde ad una chiamata, esistendo la possibilità di essere ricercati dal cliente che ci chiama, non per l’aiuto che siamo in grado di fornirgli, ma piuttosto per le aspettative fisiche (o sentimentali) che si fa su di noi.
Un altro problema relativo al non poter disporre di parte del non verbale in un intervento di counseling telefonico è che durante una telefonata, mancando la possibilità di poter notare la postura o lo sguardo dell’altro, non abbiamo apparentemente modo di verificare la congruenza o meno dello stato d’animo del cliente rispetto a quanto ci sta dicendo. Se la persona dall’altra parte del cavo ci racconta un avvenimento o uno stato d’animo particolare, per esempio ci assicura di essere felice, non avremo modo di confutare o meno la sua tesi rispetto ad una particolare postura del corpo, per esempio chiusa e accasciata, che ci direbbe invece il contrario.
La vista non è l’unico canale sensoriale che viene mancare, basti pensare al tatto e all’olfatto. Per esempio, non avere la possibilità di sentire l’odore di chi ci è di fronte, talvolta, potrebbe negarci l’accesso a delle informazioni utili sulla sua persona, così come il non poter, quando occorre, toccare o abbracciare il cliente, farà sì che risulti più complicato anche accogliere o contenere il suo dolore.
Si noti che, non solo la possibilità di usare alcuni dei nostri sensi ci è preclusa, ma anche quella di poter interagire con l’altro. In alcuni casi, nel counseling, si può agire secondo regole di frustrazione e gratificazione del cliente sempre al fine di aiutarlo nell’esplorazione dei suoi vissuti e delle sue scelte. Questi interventi possono essere fatti con atteggiamenti non verbali, frustranti o meno. Un esempio di ciò che stiamo esponendo lo ricaviamo dalla prossemica. Date le distanze “pubblica ( o neutra)”, “tra conoscenti” e “intima” possiamo pensare di innalzare il livello di tensione del cliente (frustrandolo) avvicinandoci a lui più del dovuto, portando il nostro corpo ad una distanza tra conoscenti o intima, quando invece dovrebbe essere pubblica; un altro esempio di questo tipo può essere fatto usando la paralinguistica, parte della quale è utilizzabile anche in un intervento di counseling telefonico. Se mentre l’altro parla noi cominciassimo a picchiettare le dita su un tavolo, o ci guardassimo in giro quasi come annoiati o usassimo vocalizzazioni di disapprovazione tipo sbuffi, mah, boh, ehm, ecc., è chiaro che non faremmo altro che frustrare chi ci sta parlando. Allo stesso modo il cliente può poi essere gratificato agendo in modo contrario, alleviando la sua tensione, riportandoci alla giusta distanza o usando vocalizzazioni o azioni che confermino e non biasimino ciò che sta narrando. Altro caso simile può essere la situazione che si crea quando guardiamo fissa la persona che abbiamo davanti, dato che il contatto visivo prolungato può essere interpretato come segno di una costante e interessata attenzione, così come, alla lunga, lo stesso può risultare imbarazzante e frustrante.
Quanto su scritto non deve però farci pensare che l’intervento telefonico sia meno significativo. La possibilità di poter parlare con l’altra persona senza poterla vedere, fa sì che tutta la nostra energia sia concentrata nell’ascolto di ciò che ci viene detto. Questa massima attenzione che potremo dare all’utente, chiuderà in una certa misura gli altri nostri sensi, creando uno spazio liminale tra pubblico e privato con chi ci sta parlando e una sfera comune che sopperirà alla mancanza di un ambiente fisico in cui si sviluppi la relazione.
In questa bolla che si verrà formando, risulterà ancor più importante e fondamentale avere ottime capacità di ascolto, termine che in questa sede utilizzeremo come sinonimo di “ascolto attivo”.
La capacità di ascoltare è una delle abilità caratteristiche richieste ad un buon counselor; si tratta di saper cogliere il significato (di contenuto e di emozione) di ciò che viene detto, interrompendo il meno possibile, mostrandosi ( e essendo) veramente interessati al “cliente” e consapevoli che in una interazione i messaggi non passano in modo biunivoco da una parte all’altra, ma ognuno dei due interlocutori è contemporaneamente mittente e ricevente nella comunicazione. Di conseguenza, come noi potremmo essere in grado di percepire discrepanze, bugie, non interessamento ecc, nel cliente, lo stesso vale anche per il nostro interlocutore.
Ciò che intendiamo per ascolto attivo è quello che Carkhuff specifica in “L’arte di aiutare” nel capitolo del “prestare attenzione”. Per l’autore si tratterebbe di prepararsi all’attenzione, facendo il vuoto dentro di noi per poter accogliere a pieno il disagio dell’helpee (in questo caso il chiamante). Ascoltare, in questo senso, significa “avere un motivo per ascoltare”, cercare cioè degli aspetti che ci rendano davvero interessati a quanto ci viene detto. Per farlo sarà necessario sospendere i giudizi personali, le eventuali soluzioni premature che ci vengano in mente, concentrarsi sulla persona che ci chiama, sui suoi aspetti interiori, cercando di resistere alle distrazioni che comunque, oltre a limitare la nostra capacità d’intervento, sarebbero colte dall’altro. Occorrerà contemporaneamente concentrarsi sul contenuto di quanto ci viene detto, facendo attenzione che si possa rispondere alle sei domande che l’autore ci esorta a tenere presenti: chi? cosa? perché? quando? dove? come?
“Ricordando le Espressioni”, cioè eventuali “buchi” , sentimenti e contenuto del racconto e i “temi ricorrenti” come ripetizioni, lapsus, pause, intensità saremo capaci di poter cogliere a pieno, e così di poter “rispondere”, non solo al contenuto della comunicazione, ma anche al sentimento e al significato.
L’ascolto attivo è da considerarsi una delle basi per lo sviluppo di una relazione empatica, nella misura in cui l’empatia, intesa come lo sforzo di comprendere a pieno il cliente, di ascoltare il suo disagio “come se” fosse nostro, è la base imprescindile , condizione sine qua non, per una relazione d’aiuto di counseling.
Possiamo già notare come in realtà possa essere possibile un intervento nella relazione d’aiuto fermo restando la consapevolezza del livello all’interno del quale ci dobbiamo muovere (della persona e non della personalità); lasciando da parte le prime impressioni (“pregiudizi”) o i voli pindarici della nostra mente che rischiano di guidarci alla ricerca continua di relazioni causa-effetto fino ad etichettare il cliente secondo criteri meramente diagnostici. Se riusciamo a rimanere il più possibile neutrali, potremmo essere in grado di “comprendere” meglio chi ci parla e far si che sia proprio lui a portarci ad una visione più chiara della sua condizione.
Nel pensiero di C. Rogers, il cliente ha in sé l’unica verità rispetto al suo problema e ha tutte le risorse e potenzialità necessarie alla sua soluzione. L’unico neo è per lui quello di essere in uno stato di empasse che non gli permette di vederle e gestirle, ed è per questo che il compito del counselor è quello di accompagnarlo verso l’ autoconsapevolezza, di rendergli nuovamente disponibili le sue capacità di coping e di responsabilizzarlo verso le sue azioni, il tutto all’interno di una relazione orizzontale (non direttiva).
Tornando all’ascolto, per quanto strano possa sembrare, un’altra cosa che dobbiamo gestire per leggerla in modo costruttivo e produttivo è il silenzio. Anche quest’ultimo necessita di essere ascoltato. La fase precedentemente descritta del prepararsi all’attenzione dovrebbe servire anche a farci stare “comodi” nei silenzi delle sedute, sentendoci a nostro agio ed aiutandoci a comprendere il più chiaramente possibile il suo significato e il ruolo che sta assumendo che può andare dal bisogno di fare chiarezza di idee da parte degli “attori” , alla riflessione sull’ argomento toccato o su una confessione particolarmente rilevante e profonda. Il silenzio non ha bisogno di altro, non è sempre da considerarsi come vuoto e pertanto non deve essere per forza riempito! In alcuni casi può anzi essere un punto di partenza sul quale poter lavorare.
Nel counseling telefonico risulterà di fondamentale importanza fare molta attenzione alla sfera del linguaggio. Ognuno di noi ha un modo particolare di verbalizzare e costruire periodi che ci qualifica secondo tratti della nostra personalità, di genere ecc.
E’ ormai noto che gli stereotipi considerano i sessi come polarizzati nei loro atteggiamenti nelle relazioni sociali: Le donne sono descritte come interessate alla comunione ( cioè mirate soprattutto al benessere relazionale ) e gli uomini come orientati alla strumentalità ( cioè principalmente focalizzati sulle risorse relative ai compiti ). Deaux e Lewis (1984), infatti, riferiscono che lo stereotipo del maschio è quello di una persona impostata sulla strumentalità, assertiva, competitiva, dinamica e competente relativamente ai compiti, mentre quello della femmina comprende la gentilezza, l’atteggiamento mirato alla cura e all’assistenza, la sensibilità, l’interesse relazionale e l’espressività.
Tali differenze si esprimerebbero anche nella modalità in cui due sessi entrerebbero in relazione. Secondo gli etnologi Maltz e Borker (1982) ciò avverrebbe secondo i seguenti schemi comunicativi:
1. Le donne sarebbero maggiormente inclini ad affrontare insieme problemi, a condividere le esperienze e a rassicurare; gli uomini, di contro, quando qualcuno parla con loro di un problema, lo interpretano come una richiesta esplicita di consiglio per la soluzione, piuttosto che come bisogno di semplice ascolto partecipe;
2. Le donne tenderebbero a comunicare sentimenti e segreti; al contrario gli uomini tratterebbero preferenzialmente argomenti meno intimi, come lo sport e la politica;
3. Le donne considererebbero le domande come uno strumento per ravvivare e conservare la conversazione, mentre per gli uomini esse avrebbero l’unico fine di pure richieste di informazioni;
4. Le donne evidenzierebbero la tendenza a creare dei “ponti” o “collegamenti” tra quanto affermato dall’interlocutore e ciò che esse stesse hanno da dire, mentre gli uomini non mostrerebbero tale inclinazione con analoga preponderanza, ignorando spesso le osservazioni dell’altro;
5. Infine, le donne si presenterebbero come particolarmente sensibili all’aggressività dell’altro, interpretata come un attacco che fa crollare il rapporto, al contrario degli uomini che la considerano come una semplice forma di conversazione.
Anche un autrice come la Tannen (1986; 1990; 1993; 1994) ha esposto punti di vista abbastanza simili circa le fondamentali differenze fra i sessi. Coerentemente con la sua specializzazione di linguista, tale autrice sostiene che la non comprensione tra i sessi dipenda da un loro diverso uso del linguaggio. Le donne, fin dall’infanzia, sarebbero socializzate all’intimità, per creare un mondo di connessioni, con reti di amicizie, e ottenere il conseguimento del consenso senza una costante ricerca di superiorità. Le conversazioni nascerebbero, quindi, come negoziati al fine di giungere all’intimità emotiva ed evitare l’isolamento. Ciò porta a pensare di essere vicini ed eguali agli altri e a realizzare relazioni simmetriche, con pariteticità di status. Gli uomini, invece, avrebbero appreso fin dalla più tenera età a ricercare l’indipendenza, all’interno di un mondo ordinato gerarchicamente in cui bisogna constantemente competere per conseguire il dominio e uno status superiore, difendendosi dai tentativi altrui di controllo e di manovra. Così, il mondo viene considerato come affollato da persone separate e diverse inserite in relazioni asimmetriche con competizione di status. Ecco dunque secondo la Tannen perché quando le donne narrano un loro affanno, vorrebbero solo sentirsi comprese, con espressioni di condivisione, e non ricevere, invece, consigli senza partecipazione emotiva, come di contro tendono a fare gli uomini. Inoltre, questi manifestano la preferenza a parlare di fatti piuttosto che di rapporti, deludendo in tal modo le donne che ritengono, al contrario, più importanti questi ultimi temi.
Secondo Pietro Barbetta, gli uomini sembrano avere nel DNA la tendenza a parlare poco, almeno di loro stessi. Nelle narrative classiche , scrive sempre l’autore, il maschio è assente. Eva conversa con il serpente,mentre Adamo non è presente,ed è lei che compie la scelta. Caino risponde al Padre Eterno, che gli chiede conto di Abele -”Chi sono io, il custode di mio fratello?”-,come se avesse, in un certo senso, rimosso persino il rimorso dell’omicidio.
In effetti vari studi possono supportare, in linea di massima, tale tesi. Gli uomini hanno una minore sopportazione allo stress e questo gli porta spesso a fuggire le discussioni ansiogene e a chiudersi in se stessi a ruminare sulle proprie disgrazie, al contrario delle donne che sentono il bisogno di parlare dei propri problemi e di condividerli (Grey, 1992).
D’altra parte secondo la psicologia evoluzionistica, già ai primordi dell’esistenza umana sulla Terra, le donne, attente alla cura della vita “domestica” e all’allevamento dei figli, avrebbero sviluppato la capacità di comunicare. Recenti studi hanno dimostrato che tuttora le donne hanno risultati significativamente migliori rispetto all’altro sesso in compiti linguistici, a discapito delle abilità visuo-spaziali, matematiche e fisiche in cui hanno ottenuto risultati migliori gli uomini.
Sempre secondo Barbetta, le donne sarebbero più inclini alle sospensioni nella narrazione, mentre gli uomini sarebbero significativamente più portati al lapsus e agli atti mancati, che come scrive Rollo May, al pari del ricordo e della dimenticanza, sono espressioni dell’inconscio dell’individuo; attraverso di essi il materiale inconscio riesce a esprimersi. In questi casi il counselor può benissimo utilizzare le proprie osservazioni. Ad esempio se una persona non fa che dimenticare i nomi, potremmo giustamente dedurre che le manchi un adeguato interesse sociale. L’osservazione che spesso si sente ripetere: “Non sono mai riuscito a ricordare i nomi delle persone” può essere tradotta in termini più veri come: “Non nutro un particolare interesse per la gente”. Per questi tipi di generalizzazioni esistono eccezioni; ma la generalizzazione ha tuttavia un suo valore e non risulterà del tutto inutile al counselor e benché non si serva di questi fenomeni, al pari dello psicoterapeuta, come mezzi di indagine per l’inconscio, tuttavia trarrà grande profitto dalla comprensione del loro significato, approfondendo così anche la sua comprensione di fondo della natura umana. Talvolta si sarà in grado di interpretare il significato e il più delle volte no. In questo ambito il suo interesse è volto a “osservare con intelligenza”, piuttosto che a trarre conclusioni.
Molti sono i modelli che si sono occupati della comunicazione verbale e molto ampia la letteratura a riguardo. In questa sede citeremo solo alcuni esempi di stili comunicativi senza scendere a fondo negli studi che li hanno osservati.
Alcuni di questi studi sono stati portati avanti dalla Satir.
Virginia Satir ha individuato quattro categorie o atteggiamenti di comunicazione che la gente adotta quando è in tensione. Ciascuna di queste categorie è caratterizzata da una particolare postura del corpo, da una serie di gesti, accompagnati da sensazioni corporee e da una particolare sintassi, che è poi quella su cui ci soffermeremo.
Categorie/atteggiamenti della Satir:
“Il Propiziatore”
Parla sempre in maniera suasiva cercando di riuscire gradito, scusandosi, non dissentendo mai di qualunque cosa si tratti. E’ uno “yes-man”. Parla come se non potesse fare niente da solo, deve sempre avere l’approvazione di qualcuno (comportamento assimilabile a quello degli HSM High Self Monitors). E’ riconoscente per il solo fatto che gli si rivolga la parola, è vittimista. Il propiziatore usa spesso una voce lamentosa e stridula “come se non avesse abbastanza fiato nei polmoni per parlare a piena voce”.
“L’Accusatore”
E’ uno che trova a ridire su tutto in maniera dittatoriale, è un “boss”. I verbi usati sono spesso coniugati all’imperativo. A questo “tipo logico” interessa più spadroneggiare che rendersi conto di come siano veramente le cose; la voce è dura, ferma, spesso acuta e alta, si da arie di superiorità e sembra dire:-“se non fosse per te andrebbe tutto bene!”- Può urlare, insultare e criticare.
“Il Calcolatore”
Usa parole ultralogiche dando l’impressione di essere calmo, freddo e sicuro, anche se dentro di sé si sente vulnerabile. Il calcolatore è corretto ragionevole e non da a vedere di avere un qualunque sentimento quasi fosse un computer o un dizionario. La voce è distaccata e monotona ed è probabile che le parole siano astratte venendo usati termini lunghi anche se non si è perfettamente al corrente del loro significato. L’effetto che ottiene è per lui quello di sembrare più intelligente, ma in realtà porta gli altri a smettere di ascoltarlo. Il problema della sua massima aspirazione nel creare discorsi forbiti è che spesso lo porta anche a non mostrare alcun sentimento e di conseguenza anche a non reagire.
“Lo Svagato”
Le parole: Non pertinenti, non hanno senso;
Il corpo: Spigoloso e squinternato;
Dentro di sé: Tutti se ne infischiano, per me non c’è posto.
Lo svagato non risponde mai a tono, la sua sensazione interna è lo stordimento. La voce può essere cantilenante, spesso non intonata alle parole e può andare su e giù senza ragione perché non è concentrata su nulla. Le sue parole non coglieranno mai nel segno, ignora le domande degli altri forse replicando con una domanda su un argomento diverso.
Lo studio della Satir prosegue sui correlati sintattici dei vari “tipi” nei quali spiega come il propiziatore usi i qualificatori (se, solo, proprio, perfino) e il congiuntivo nei verbi (potessi, volessi). Nello stesso modo l’accusatore usa quantificatori universali (tutto, ogni, qualunque) e domande negative (perché tu non…? Come mai non puoi?). Il calcolatore tende a cancellare gli argomenti nominali dello sperimentatore: del soggetto dei verbi attivi (io vedo: come si può vedere.) o dell’oggetto dei verbi in cui l’argomento nominale oggetto è lo sperimentatore (mi disturba: x sta disturbando). Uso di nomi senza indici referenziali (c’ho, uno, la gente). Uso di nominalizzazioni (frustrazione, stress, tensione). Lo svagato è una rapida alternanza dei primi tre stili e in più usa di rado i pronomi nelle risposte che si riferiscono a parti di frasi e domande del terapeuta.
Ulteriori studi, che accenneremo solamente, sono stati fatti sul modus orandi dei clienti.
Così, il comportamento verbale dello schizofrenico, può essere alterato da un linguaggio impreciso, vago, con associazioni apparentemente senza senso mentre parla di un mondo fittizio e immaginario nel quale egli è però immerso.
Nel disturbo bipolare, invece, generalmente il linguaggio diventa accelerato, si parla ad alta voce e si tende a monopolizzare le conversazioni senza permettere a nessuno di dire una sola parola. Può diventare molto difficile seguire le idee di chi è in stato maniacale in quanto si passa velocemente da un argomento all’altro. A volte si osserva la tendenza a parlare in rime.
Come si può osservare sono tutte informazioni che ci potranno venire utili nell’ambito dell’ascolto del cliente per una maggiore comprensione dello stesso.
In questa sezione esporremo alcuni tipi di intervento di counseling telefonico che sono già attivi a livello nazionale.
Interventi:
Telefono azzurro
Il Centro Nazionale d’Ascolto Telefonico è il cuore dell’attività di Telefono Azzurro Onlus.
L’attività del call center, attivo 24 ore su 24 per 365 giorni all'anno, è suddivisa tra la Linea telefonica gratuita 19696, a disposizione di tutti i bambini e gli adolescenti fino a 14 anni di età per denunciare maltrattamenti e abusi o parlare con un operatore per esporre problemi e difficoltà, e la Linea Istituzionale 199.15.15.15 dedicata ai ragazzi con più di 14 anni e ad adulti, educatori, operatori professionali che intendono segnalare o chiedere consulenza in merito a situazioni di disagio o di abuso che coinvolgono minori.
L’attività di risposta telefonica è effettuata presso il Centro Nazionale di Ascolto Telefonico basato a Milano, che, attraverso un sistema di call center, fa fronte a migliaia di chiamate provenienti da tutta Italia.
L’Associazione è impegnata in un continuo confronto operativo, teorico e metodologico a livello internazionale con le Helpline inglese, francese, spagnola e austriaca, al fine di individuare e adottare comuni linee guida per la gestione della consulenza e per la formazione e lo sviluppo delle competenze degli operatori. Il modello del Telefono Azzurro prevede 4 fasi:
Accoglienza - 1° livello
Giornalmente Telefono Azzurro riceve circa 8000 chiamate sulla linea gratuita per bambini e circa 200 sulla linea per adulti.
Esse vengono accolte da un messaggio registrato che fornisce alcune informazioni sul servizio: il tipo di utenza, il costo o la gratuità della telefonata, l’orario di operatività, la modalità di lavoro, le finalità di Telefono Azzurro e altre informazioni.
Molte di queste chiamate si chiudono spontaneamente al termine del messaggio registrato in quanto il chiamante spesso ha, come necessità primaria, quella di ottenere una rassicurazione che Telefono Azzurro effettivamente esista e sia disponibile all’ascolto in caso di necessità.
Le chiamate non chiuse spontaneamente vengono trasferite al 2° livello di accoglienza oppure immesse in una breve attesa, se tutti gli operatori sono occupati.
Accoglienza - 2° livello
Alle telefonate rispondono degli operatori volontari, che realizzano il “filtro telefonico” con l’obiettivo di effettuare una prima lettura del bisogno espresso dal chiamante e, dopo aver registrato su una scheda computerizzata le principali informazioni emerse, trasferiscono la chiamata al livello successivo, cioè all’operatore professionista.
Nel caso di telefonata muta o impropria registrano pochi dati significativi ad uso statistico e chiudono la chiamata.
Gestione - 3° livello
Il professionista accoglie la telefonata ed effettua la consulenza richiesta attraverso le seguenti fasi:
• accoglienza
• analisi della domanda
• ridefinizione del problema
• riscontro e accordo
L’operatore professionista si avvale della compilazione della scheda già predisposta dal 2° livello, che integra con ulteriori dati emersi nel corso del colloquio telefonico e con gli approfondimenti che ritiene utili, creando un dossier numerato per ogni caso ritenuto rilevante.
Il professionista può compilare ulteriori schede per le chiamate successive dello stesso soggetto, per la stesura dei pareri relativi al caso, o infine per attivare il livello successivo delle istituzioni pubbliche competenti territorialmente. Tutti i documenti creati vengono archiviati nel dossier primario.
Il professionista può consultare, in linea, il database delle istituzioni in cui sono riportate tutte le informazioni anagrafiche dei singoli servizi dell’intero territorio italiano, utili ad una tempestiva e efficace gestione del caso.
Gestione - 4° livello
La gestione dei casi che richiedono interventi in loco viene trasferita ad operatori specializzati dislocati presso i Centri Territoriali i quali, in rete con i servizi per minori del territorio, offrono assistenza ed aiuto al minore coinvolto in una situazione di abuso o maltrattamento e alla sua famiglia.
Telefono rosa:
Trecentocinquantamila donne si sono rivolte al Telefono Rosa per raccontare le loro storie di ordinaria violenza fisica, psicologica, economica, per parlare del loro disagio esistenziale, per testimoniare l'impossibilità di accettare le regole di un universo maschile. Dall'altra parte del filo le volontarie, sessanta, pronte ad informare, orientare, segnalare. Si sono costituite fin dal 1990 in Associazione Nazionale del Telefono Rosa, si sono date una organizzazione: la loro competenza, messa alla prova da una casistica ampia ed estremamente diversificata, è cresciuta nel tempo grazie all'istituzione di corsi interni di formazione. Oggi l'Associazione è in grado di fornire una consulenza varia e specifica. Accanto alle avvocate; le consulenti bancarie, le psicologhe e le mediatrici familiari. L'attenzione costante dei mass-media; la formazione di un comitato di sostegno composto da donne che occupano posizioni chiave nel mondo della cultura, della politica e delle istituzioni: una nuova sede assegnata dal Comune di Roma, dove è più agevole accogliere le donne che vengono a raccontare le loro storie: quattro linee telefoniche. Tutto questo ha contribuito a trasformare un servizio caratterizzato dall'emergenza in un vero e proprio strumento.
Parallelamente a tale evoluzione è maturata l'esigenza di una riflessione allargata, di una indagine che scandagli la violenza nella sua genesi e nelle sue manifestazioni. In tal senso, partendo dalle testimonianze dirette delle donne, l'Associazione elabora ogni anno una ricerca sulla fenomenologia della violenza, all'interno e all'esterno della famiglia, il cui fine ultimo è la denuncia di questa grave piaga sociale all'opinione pubblica per una efficace opera di prevenzione. Prevenire la violenza è anche ciò che si propongono i corsi di formazione-informazione su sessualità, salute, diritti delle donne, organizzati dall'Associazione ed aperti a chiunque voglia partecipare. Combattere la violenza è importante, fondamentale è impedire che nasca e disinnescare i meccanismi che l'attivano.
Consulenza telefonica dell’istituto di sessuologia clinica di Roma:
L’istituto di sessuologia clinica di Roma fornisce, da diversi anni, un servizio gratuito di consulenza telefonica svolto da specialisti del settore. Gli operatori che rispondono alle chiamate forniscono informazioni sulle problematiche sessuologiche portate dagli utenti, li aiutano a focalizzare maggiormente la natura delle loro difficoltà e li indirizzano verso centri e/o specialisti adeguati alle loro richieste, raccogliendo i dati su apposite cartelle. Il servizio è attivo dal lunedì al venerdì dalle 15:00 alle 19:00. Il modello teorico che orienta la prassi degli operatori del servizio è quello “integrato e multidimensionale” (Kaplan, 1979; D’Ottavio, Simonelli, 1990; Simonelli, 1996) nel quale:
• risulta necessaria un’adeguata analisi della domanda al fine di chiarire assieme all’utente le aspettative consce ed inconsce veicolate dalla richiesta di aiuto;
• è ritenuta particolarmente efficace la collaborazione fra diversi specialisti (psicosessuologo, andrologo, ginecologo, endocrinologo, psichiatra, counselor ecc..) per l’inquadramento diagnostico-terapeutico del problema presentato;
• la funzione primaria del consulente è quella di rimandare alla persona la responsabilità delle sue scelte e del percorso che intende intraprendere, orientandola verso la soluzione che meglio risponde ai suoi bisogni. In tal senso la consulenza telefonica sostiene l’utente a superare gli ostacoli della sua crescita personale, chiarendo ed elaborando le difficoltà presentate.
L’iniziativa di aprire un servizio di consulenza telefonica si è confermata una scelta efficace sia da un punto di vista conoscitivo rispetto ai cambiamenti della domanda in sessuologia, che rispetto all’effettivo utilizzo da parte dell’utenza. Infatti il servizio risulta essere un canale privilegiato per far emergere alcune problematiche che altrimenti non arriverebbero all’osservazione clinica. Dall’analisi generale delle schede raccolte risulta che tale attività consulenziale è particolarmente utile nell’accogliere due ordini di richieste: quelle “urgenti” che riguardano per lo più le informazioni sulla contraccezione, i rapporti sessuali a rischio, la gestione delle situazioni di crisi e quelle relative alla normalità dei comportamenti sessuali fatte soprattutto dagli uomini.
Charlie telefono amico:
Charlie telefono amico è un servizio di ascolto telefonico dotato di una linea verde (800.863096) che risponde a chi ha bisogno di aiuto e informazione su temi legati alla tossicodipendenza, alcolismo, aids, disagio sociale in generale. Abbiamo avuto la possibilità, tramite il dr. Giovanni Cioli, di visitare la sede che si trova a Pontedera. Il servizio è aperto nei giorni feriali dalle 19:00 alle 24:00. Gli operatori sono dei volontari, dispongono di quattro linee telefoniche e di computer che usano per raccogliere dati su un database. Gli operatori rispondono a tutte le chiamate in maniera anonima con il nome appunto di “Charlie”; questo anche perché , in passato, sono sorte alcune complicazioni inerenti al fatto che alcune persone volevano parlare sempre con lo stesso operatore, o ci sono stati casi in cui qualcuno è arrivato fino in sede per voler conoscere di persona il consulente. Il numero verde da una parte è utile perché invoglia a chiamare anche per il fatto di non aver problemi di spesa, dall’altra però, accade che telefonino perdi tempo il cui unico scopo è quello di fare degli scherzi… Il modello teorico che orienta la prassi degli operatori è quello “rogersiano”.
Telefono per la cessazione al fumo:
Questo telefono risponde alle persone che manifestano anche la minima intenzione di smettere di fumare. Le linee guida di questo servizio prevedono anche l’aiuto dei medici di base che per primi raccolgono le richieste dei loro assistiti dando le prime informazioni per poi indirizzarli al numero verde. Questo servizio è di recente attivazione ed è stato istituito dopo studi che hanno evidenziato la significatività dei maggiori successi ottenuti con un approccio multidisciplinare. Il modello di risposta prevede un accoglimento della domanda del fumatore, esplora poi la storia personale del soggetto e cerca di chiarire il livello di motivazione con cui si avvicina al servizio in modo da scegliere il percorso da farsi per aumentare la previsione di successo. L’intervento clinico minimo di efficacia provata e raccomandato nelle principali linee guida prodotte da organismi nazionali di diversi paesi europei ed extraeuropei è quello noto con la sigla delle “5 A: ASK, ADVISE, ASSESS, ASSIST, ARRANGE”. Tale intervento può essere realizzato spendendo anche pochi minuti nel corso di una qualunque visita medica o nel corso di un counseling telefonico.
Per concludere vorremmo riprendere la domanda che ci siamo posti all’inizio: Il counseling telefonico si può considerare counseling? Seppure la risposta non sia di facile soluzione, crediamo si possa affermare che lo si può considerare tale almeno in alcuna parte degli interventi esposti. Probabilmente là dove occorra un intervento sulla crisi, o in certa parte di altri tipi di modelli come per esempio nel telefono azzurro, l’approccio fortemente rivolto alla normalizzazione e al supporto del soggetto farebbe supporre con fermezza di no. Obiettivo di un intervento sulla crisi, più che cercare di fare esplorazione, è quello di ripristinare delle condizioni che permettono di stabilire una relazione, abbassare il livello d’ansia, cosa che però porterà a creare un aggancio e dei presupposti per eventualmente, in un momento successivo, arrivare ad una attività esplorativa propria del fare counseling. Questa è una fase, che può essere utile per stabilire un primo rapporto di fiducia con l’altro, un’ alleanza, alla quale, spesso, seguono fasi di definizione del problema, esplorazione personale e la ricerca di un percorso che possa portare alla soluzione dello stesso.
Come si può notare anche da alcuni esempi sopra riportati, al di là dei diversi modelli teorici applicati, se il problema può essere affrontato, ci sembra non esistano fratture tra counseling telefonico e vis a vis, tali da farli ritenere due diversi tipi di intervento.
In fondo anche i vari modelli teorici del counseling differiscono molto gli uni dagli altri. Per esempio possono essere più o meno supportivi o direttivi. Se confrontassimo un counseling ad impostazione rogersiana e un counseling gestaltico, apparirebbe palese che l’orizzontalità relazionale del primo sarebbe contrastante con la direttività del secondo. In un primo momento il counseling telefonico contro il fumo ci ha lasciati perplessi per la schematicità operativa dell’intervento. Abbiamo ritrovato questo tipo di diagramma di flusso nei modelli di Marlatt contro la tossicodipendenza e di Pithers contro alcune ossessioni sessuali e contro la pedofilia, all’interno di modelli strategico-comportamentali. Nonostante nutriamo ancora qualche dubbio a riguardo, sembra giusto ricordare che anche nelle fasi finali del modello Carkhuffiano sono previste strategie schematiche d’intervento in più fasi e con monitoraggi e follow up del cliente che prevedano prove ed aggiustamenti per tentativi ed errori simili agli algoritmi di problem-solving e decision-making.
Possiamo affermare che anche se non tutte le linee telefoniche fanno counseling, tutti gli interventi che abbiamo visto, hanno in sé almeno una fase che preveda una relazione d’aiuto di counseling.
Counseling telefonico: bibliografia.
• AAVV. “Rivista di sessuologia clinica VII-2000/1” SISS ed. Franco Angeli a.2001
• Watzlawick P. “Pragmatica della comunicazione umana” ed. Astrolabio Roma 1997
• Binetti; Bruni “Il counseling in una prospettiva multimodale” ed. Magi Roma 2003
• Rogers C.R. “La terapia centrata sul cliente” ed. Martinelli & C. Firenze 1994
• Rollo May “L’arte del counseling” ed. Astrolabio Roma 1991
• Mecacci L. “Storia della Psicologia del ‘900”
• Dèttore D. “Psicologia e Psicopatologia del comportamento sessuale” ed. McGrow-Hill Milano 2001
• Bandle-Grinder “La struttura della magia” ed. Astrolabio Roma 1981
• Sirigatti S. “Manuale di psicologia generale” ed. UTET Torino 2000
• Sito internet telefono azzurro
• Sito internet telefono rosa
• Sito www.ecomind.it
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La coppia: ricerca di una identità condivisa - a cura di Roberto Ciabatti
La cultura negli ultimi 50 anni è cambiata fortemente. Dovremmo ripercorrere attraverso uno studio sistematico il processo di sviluppo per meglio comprendere l’uomo, la donna, i ruoli, la coppia.
Nel frattempo limitiamoci ad osservarne “grossolanamente” gli effetti.
Il ruolo della donna e dell’uomo sono stati stravolti dalla rivoluzione sessuale ad oggi, ciò che per secoli era stereotipato in codici precisi si è di un “tratto” trasformato.
La donna ha preso in mano la propria vita rivendicando il proprio ruolo nella società, nella famiglia: questo le ha dato un “status” diverso e per molti aspetti più complesso; ella ha sviluppato il passaggio da madre e moglie ampliandoli in donna e lavoratrice.
Ciò ha contribuito a rendere l’uomo “instabile”, alla ricerca di una nuova identità sociale e familiare aumentando la fragilità all’esporsi ad un ruolo nuovo e non certo convenzionale alla propria storia; d’altra parte la donna ha scelto e lottato per togliersi da quelle condizioni che la rendevano “schiava socio-culturale” di un ruolo definito ed imposto da un contesto storico arcaico.
In questo, la scelta femminile ed il “subire” maschile la nuova cultura in espansione e di cui nessuno potrebbe metterne in dubbio la bontà ha determinato, per sua natura, una instabilità relazionale di fondo.
Per molti anni abbiamo assistito ad una donna che chiedeva all’uomo di essere, giustamente, più attento più dolce, più affettivo, più padre, più compagno ecc. questo era il leitmotiv culturale fino agli inizi degli anni 2000; ad oggi, pur mantenendo questi presupposti si chiede all’uomo di tornare ad essere uomo, gli si chiede ancora un passo in una direzione apparentemente contrapposta alle precedenti. Se gli si è chiesto di assumere a sé connotati “femminili” adesso gli si chiede di riappropriarsi di connotati maschili!
La coppia in estrema e analitica sintesi è un’organizzazione umana che tende a strutturarsi ad un certo punto come gruppo, meglio detto, come famiglia; questa tendenza è apparentemente ancora la tendenza dominante….. lo sarà per molto? Lo sarà per sempre? Ad oggi non ci è dato saperlo ma molti campanelli ci dicono che nei prossimi 50/100 anni potrebbe cambiare la stessa fisionomia della coppia.
Comprendendo che ci troviamo in un’età di mezzo in cui i rigidi codici della tradizione in senso lato sono divenuti stretti e quelli nuovi che potrebbero definire un nuovo periodo sono ancora impercettibili e piuttosto distanti da ciò che abbiamo sempre ritenuto essere i codici della coppia. Possiamo pensare, per restare nell’oggi, che questo mutamento di ruoli può in larga parte essere causa di questa confusione che la coppia attraversa non avendo più un senso comune riconosciuto per leggere le condizioni che attraversano la coppia.
Stavo dimenticando un senso importante per comprendere questo articolo, un senso o codice che forse molti non condivideranno e cioè che l’amore, il sentimento, non basta a se stesso, non è sufficiente a portare la coppia alla destinazione di un rapporto profondo felice e duraturo.
La crisi della coppia è una crisi “culturale”: solo attraverso questa condizione possiamo comprendere e ricomporre una frattura esistenziale della coppia. In questo ci aiutano anche gli studi effettuati sulle psicoterapie di coppia, studi che ci dicono che solo il 15 % arriva a soluzioni positive, probabilmente quelle stesse coppie che troverebbero dentro di sé le condizioni per risolvere la loro crisi. Chiedere aiuto ad un terzo è spesso positivo ma anche i codici di lettura e decodifica sono importanti e questi non possono limitarsi agli stereotipi psicologici. L’uomo è il prodotto della cultura di appartenenza. Se insistiamo a rendere la spiegazione di tutto a carattere sentimentale (l’amore), a carattere spirituale (il sacrificio), a carattere psicologico (i modelli) non riusciremo a ricomporre nessuna frattura.
La rappresentazione dell'Uomo è parziale, ogni “teoria” rappresenta alcuni elementi e non può rappresentare l'insieme, ma ogni teoria tende a voler rappresentare l'insieme, ogni “disciplina” tende a voler dare la propria spiegazione agli eventi, ai fatti.
Non possiamo restare attaccati al passato se vogliamo ricostruire una nuova realtà relazionale che comprenda una cultura del benessere attraverso codici interpretativi complessi ma di semplice acquisizione.
La coppia è un insieme, arcaico, sociale, culturale, affettivo in costante mutamento. Da 50 anni questa trasformazione è così veloce che solo andando oltre le barriere dei codici della storia e del presente possiamo affrontare per tornare ad una unità definita fondata su paure, bisogni, codici….. capirne il meccanismo diventa costituente di una nuova unità fondata sul principio di un amore che ha in sé un codice intrinsecamente compreso e condiviso dalla coppia, dall’uomo e dalla donna.
Studio Adel nel prendersi cura (in senso affettivo) della coppia accoglie la relazione come il punto focale di un divenire scelto da un uomo e da una donna che va oltre le singole rivendicazione dei partner, che va oltre le ragioni le differenze, le somiglianze, la buona comunicazione ecc. Studio Adel centra la propria attenzione al “figlio”, alla parte più fragile dello stare assieme, che non è l’uno o l’altro componente della coppia ma bensì la relazione stessa in quanto frutto di una unità imprescindibile agli individui che in quel momento la costituiscono. Essendo coscienti che quello che porterà la coppia verso una esistenza felice è fuori dalle rivendicazioni, dalle posizioni, dalla diversità……. ma è intrinsecamente correlato al generare felicità.
Roberto Ciabatti
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Ansia e attacchi di panico - a cura della Dott.ssa Roberta Grassotti
Quando parliamo di ansia ciò su cui va posto l’accento è il fatto che l’ansia non è solo un limite o un disturbo, ma riconosciuta e analizzata può diventare uno strumento di analisi di se stessi ed essere utilizzata come una risorsa.
L’ansia è una condizione fisiologica, utile in molti momenti della vita . Può essere uno strumento o un limite a seconda dell' uso che ne facciamo o del modo in cui la viviamo.
L'ansia è una risposta sostanzialmente fisiologica ad una sollecitazione interna o esterna che il cervello riceve. È un'emozione che, in quanto tale, è costituita da un aspetto psicologico (il vissuto soggettivo) e un aspetto fisiologico: questi due aspetti sono strettamente legati tra loro (sono interdipendenti) ed entrambi concorrono alla genesi di quell'insieme di sintomi e segni che noi chiamiamo"ansia".
La percezione che normalmente si ha dell'ansia è, nel linguaggio comune, di qualcosa di fastidioso, che procura disagio o addirittura sofferenza nell'individuo.
La differenza fondamentale tra la normalità e la malattia dell'ansia consiste quindi nella percezione di disagio che proviamo quando siamo di fronte alla tensione, alla preoccupazione, al malessere che sentiamo in assenza di stimoli esterni o interni.
Quando l'ansia diventa eccessiva, e irrazionale timore delle situazioni quotidiane, diventa un disturbo debilitante.
Di conseguenza quando l'attivazione del sistema ansiogeno è eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni, siamo di fronte ad un disturbo d'ansia, che può complicare notevolmente la vita di una persona e renderla incapace di affrontare anche le situazioni più semplici e comuni. Esso causa uno stress significativo e danneggia il funzionamento lavorativo, sociale e relazionale dell’individuo.
L’ansia è inoltre pervasiva, nel senso che la persona che ne è affetta si concentra costantemente su certe attività o eventi come bersagli dell’ansia (ad esempio sul proprio futuro, situazione finanziaria, preoccupazione che succeda qualcosa ai propri familiari etc.).
Una delle più frequenti conseguenze di questa situazione complessiva è la graduale elaborazione di strategie di ‘evitamento’, ovvero la sensazione di dover escludere dalla propria vita situazioni, circostanze, luoghi, dai quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi, o nei quali potrebbe non essere disponibile un aiuto immediato.
L’evitamento, quando si consolida, porta facilmente alla cosiddetta Agorafobia allargata, ovvero riferita non solo a luoghi, ma anche a specifiche situazioni (guidare l’auto in galleria, fare la fila al supermercato o alla posta, ecc.).
E’ importante imparare a contenere quest’ansia senza doverla scaricare all’esterno, ma soprattutto capire qual’é la natura della paura sottostante che genera il sintomo.
Un attacco di panico è costituito da un episodio acuto d’ansia, che si manifesta tipicamente con un inizio improvviso e solitamente della durata inferiore ai trenta minuti. I sintomi includono tremore, respirazione superficiale, sudore, nausea, vertigini, iperventilazione, parestesie (sensazione di formicolio), tachicardia, sensazione di soffocamento o asfissia.
La manifestazione è significativamente diversa da quanto avviene negli altri tipi di disturbi di ansia, in quanto gli attacchi sono improvvisi, non sembrano provocati da alcunché e spesso sono debilitanti. Un episodio può essere descritto come un circolo vizioso dove i sintomi mentali accrescono i sintomi fisici, e viceversa.
L’obiettivo di un percorso psicologico risulta essere quello di disinnescare le strategie di evitamento consolidate dal soggetto al fine di ripristinare una buona qualità della vita cercando quindi delle strategie funzionali al fine di poter gestire e contenere l’ansia per poterla trasformare in un utile strumento di noi stessi.
Dott.ssa Roberta Grassotti
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Il viaggio della coppia - a cura di Roberto Ciabatti
La coppia esiste? Una delle problematiche maggiori riscontrate nella mia esperienza professionale non è tanto se la coppia sa stare assieme ma se gli individui che la compongono sanno “essere insieme”. Chi è amante “dell’indagine” di coppia sa bene di cosa parlo……
Stare insieme non per forza presuppone l’essere insieme. Con questo articolo inizia un viaggio dentro un luogo sconosciuto e misterioso, oppure in un luogo che crediamo di conoscere, o magari in un luogo estremamente conosciuto, oppure in un luogo semplicemente vissuto e mai trasformato. Il luogo scelto per il tour è la coppia.
La coppia esiste in quanto entità composta da due individui che affermano di appartenervi ma, nel visitare la coppia, nell’entrare in questo luogo ognuno di noi può trovarci colline, aspre montagne, paesaggi stepposi, deserti, ambienti rigogliosi.
La coppia è un luogo “x”, un territorio, la relazione che intercorre tra i componenti è il viaggio nei paesaggi del mondo; ora in territori lussureggianti, ora in deserti pietrosi. Credere che il biglietto per la destinazione scelta lo compriamo assieme ci permette di capire che stiamo scegliendo il luogo dove passeremo le nostre prossime ore, giorni, mesi, anni. Se così è perché non riusciamo quasi mai a restare in isole incantate, in dolci colline, oppure in bei deserti e splendide montagne? Ogni luogo ha il suo fascino non per forza un deserto è brutto se si sceglie di andarci, non per forza una montagna è pericolosa se la si sa affrontare.
Parte del problema è che noi non sappiamo dove andiamo nel momento in cui siamo in volo e questo ha il suo fascino, salvo poi lamentarsi con l’altro che quel posto non ci piace. In genere la risposta dell’altro è che non è certo colpa sua se li vi trovate. Chi ha il piacere di riflettere sulla coppia sa di cosa parlo.
Allora ciò che si può pensare è:
- “ci hanno fregato all'agenzia di viaggi”
- “amore come si chiama quell'agenzia?...”
- amore...si chiama “amore”
- “lo sapevo che l'amore è una fregatura.”
I luoghi comuni sull’amore si sprecano ne sono intrise canzoni, libri, film, è tutto un grande luogo comune. L’amore non è un luogo comune ma un solo luogo!!!!! Poche persone fanno una seria riflessione su cosa sia l’amore…
Ma torniamo al nostro viaggio: le coppie spesso partono da isole incantate e passando dalle dolci colline del chianti, alle dolimiti, al gran canyon, alle steppe della siberia, arrivano nei deserti pietrosi dove i sassi scagliati sono quasi la prassi. “La tendenza dell’amore romantico è quella di trasformarsi in odio” (Mitchel). Chi non ha bisogno di chiudere gli occhi sa, per propria esperienza, che,con qualche variabile in più o in meno, l’iter è questo. Il gran tour della coppia è arrivato al capolinea!
Tutto questo risulta almeno un po’ insopportabile…. ed allora… “eureka” ...un’affermazione corre dalle viscere verso la testa “non era la persona giusta”. Vedrai che al prossimo tour con un po’ di esperienza in più, ed un po’ più di fortuna troverò la persona giusta. Di nuovo i luoghi comuni si sprecano. Chi ha cura di mettere gli occhiali (gli occhiali non vanno sempre portati ma non averli è grave), chi ama vivere bene senza perdersi nei meandri della relazione sa che il problema non sta nell’altro o per lo meno… l’altro ha il suo carattere ecc… ma questo è come la sabbia in un isola fastidiosa, presente, ma parte di un insieme, se l’insieme si perde in favore di un tema, la certezza per l’uscita pesca il luogo comune del pesce palla.
L’amore è fede è religione o se ne accettano i contenuti… i misteri…. Oppure lo si ripudia! La domanda sorge spontanea chi di noi ha letto la bibbia e i vangeli? Chi conosce un proprio percorso spirituale? Personalmente la cosa ad oggi non è di mio interesse ma la coppia, la relazione è un caro tema per molti di noi…. È pratica quotidiana …
Ma torniamo al nostro tour intorno al mondo e andiamo ad affrontare i luoghi del nostro stare e dove vorremmo passare il nostro tempo. L’uomo per sua natura tende al benessere, Fromm insegna che l’uomo contemporaneo sta barattando l’essere con l’avere ma resta il fatto che l’uomo tende al benessere. Alla domanda perché non riusciamo a restare nel benessere troviamo risposte teologiche o metafisiche o psicologiche, ambienti dove il determinismo per certi aspetti è un optional.
Rileggendo tutto questo viene quasi da essere senza speranza. La speranza prevede conoscenza. L’uomo ha saputo difendere l’esperienza della coppia e della relazione attraverso dei codici. I codici con i quali leggiamo oggi l’amore sono praticamente gli stessi di 50 anni fa, i codici con i quali leggiamo la relazione sono cambiati parzialmente, i codici con i quali affrontiamo la coppia sono completamente cambiati.
La visione della cosa mi rende difficile la soluzione. So che la soluzione esiste…… una domanda mi arriva….. ma… la soluzione a cosa….?? Accidenti !!!! adesso mi è tutto molto più chiaro.
Spesso è la prospettiva dalla quale affrontiamo il problema che ne rende impossibile la sua soluzione (citazione di una professoressa di matematica sulla base di un problema matematico).
Sempre che la conoscenza che abbiamo…. ci sia sufficiente…………..
Il prossimo articolo si addentrerà in questi luoghi… Se nel frattempo volete inviarmi esperienze, critiche, domande utilizzate pure i messaggi di Studio Adel su facebook.
Roberto Ciabatti
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L’incesto affettivo - a cura della Dott.ssa Valentina Bellandi
I disturbi comportamentali e/o psicosomatici, spesso, trovano radice nel contesto delle relazioni familiari e sociali in cui un individuo si trova inserito. Le aspettative inconsce dei genitori sul bambino spingono ad attribuire al figlio un determinato ruolo. I genitori operano una proiezione narcisistica sul bambino che diventa la rappresentazione del bisogno del genitore o di entrambi di risolvere i loro conflitti inconsci. Può succedere, per es., che il figlio assuma la funzione di rappresentare il sostituto del partner.
Se consideriamo il rapporto padre-figlia è possibile che il padre scelga la bambina come “sostituta” della moglie allo scopo di raggiungere una situazione di intimità affettiva, dominio, rassicurazione non ottenuta nel rapporto con la compagna. Questo può condurre ad una sorta di matrimonio simbolico fra padre e figlia, un incesto “permesso” perché non si svolge sul piano sessuale ma affettivo.
Tenere la figlia a sé, chiuderla al contatto con il mondo esterno allontanando da lei gli altri uomini (rivali) con strumenti spesso autoritari/aggressivi “ tu non esci, tu non ti vesti cosi ecc.” diventano mezzi che un padre usa per “possedere” affettivamente la figlia, la quale difficilmente può sottrarsi o ribellarsi perché ama e desidera il padre, ha paura di essere abbandonata e può sentirsi in colpa perché il padre “lo fa per lei, per il suo bene, per la gente”…
Questo tipo di rapporto interferisce negativamente sullo sviluppo della bambina e della sua personalità e spesso proietterà la donna lontano da se stessa e incapace di impadronirsi della propria identità femminile come della propria sessualità.
In età adulta, il distacco dal ruolo di sostituto del genitore spesso è destinato a fallire. Il persistere del legame della figlia col padre è spesso la causa che impedisce di instaurare un rapporto adeguato con un altro partner. Il ruolo inconsciamente assimilato: “ io in realtà sono sposata con mio padre e devo rimanergli fedele” la spinge a censurare o a vivere in maniera altamente distruttiva i rapporti con l’altro sesso.
Come potrà essere dunque la sessualità di questa donna?
Si potrà sentire in colpa. Il senso di colpa genera il bisogno persistente di procurarsi una punizione. La sua sessualità sarà una sessualità attiva e passiva (sadico/masochista) al contempo in quanto esprime aggressività e riceve aggressività. Il suo comportamento sessuale le serve per espiare la colpa e per non permettersi di separarsi dal padre.
E la madre?
La collocazione della figlia nel ruolo sostitutivo della madre porta alla creazione di un sistema familiare che in qualche modo esclude la figura materna senza però mai procedere ad un’effettiva espulsione. Spesso la madre invece di ribellarsi contro il rapporto privilegiato tra padre e figlia lo tollera e con il tempo si sottrae e si allontana sempre di più sia dal marito che dalla figlia. L’amore per la figlia gradualmente si trasforma in gelosia o in ostile rabbia che non vengono espresse esplicitamente, ma mascherate. Con il suo comportamento, la madre, per paura di perdere del tutto il marito e la figlia può nascondere la verità anche a se stessa diventando, in questo modo, complice dello scambio di ruoli.
In conclusione un’identità femminile che si struttura senza potersi identificare nel modello materno, psicologicamente assente, e senza essere riconosciuta come donna dal padre difficilmente raggiungerà l’identità di persona adulta.
Se immaginiamo un fiocco, esso non è altro che il caos di un nastro. Ogni nostra confusione non è sinonimo di negatività, ma di vita. Nel gioco della confusione, però, un nastro può divenire un cappio e allora che possiamo fare di fronte alle cose?
Interpretarle con tutta la conoscenza, l’esperienza e la coscienza che abbiamo. Sciogliere il nastro può far ritrovare un nuovo rapporto con se stessi, nuovi attaccamenti, il riconoscimento di un’identità femminile, una donna che può dare valore a se stessa e alla propria esistenza.
Dott.ssa Bellandi Valentina
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Il teatro come percorso di vita - a cura di Marco Mondani
La pratica teatrale e musicale sono importanti nell'espressione, nella comunicazione e nella liberazione del corpo e della mente dell’individuo.
Che il teatro sia un potente mezzo di comunicazione efficace e suggestiva è noto a tutti coloro che ci si sono avvicinati, almeno come spettatori.
Lo sperimentare attivamente l'arte drammatica diventa anche un mezzo importante per la conoscenza profonda di sé, delle nostre dinamiche comunicative personali e di gruppo.
L’arte non è necessariamente una cura, ma può essere un buon mezzo per guardare dentro la persona, al fine di costruire un nuovo spazio in cui vivere.
Il teatro e la musica sono strumenti che permettono di avvicinarsi alla sensibilità di tutti, possono far comprendere come canalizzare le proprie risorse emozionali e creative, lasciando emergere lentamente un interesse rinnovato verso il proprio corpo, veicolo di un’intelligenza, spesso relegata in secondo piano.
L’esercizio creativo è un’esperienza di crescita all’interno della quale giocando s’impara a valorizzare un ritmo, un suono, un’espressione, un istante di magia, un impulso o il silenzio conquistato dopo una fatica.
Il “gioco” nasce dal desiderio di esporsi in uno spazio protetto, permettendo di manifestare bisogni in altri contesti illegittimi: è occasione per imparare divertendosi, per acquisire regole, per sviluppare la capacità di ascolto, per cooperare, per rifiutare, opporsi, unirsi, per riconoscere i limiti e le potenzialità proprie e altrui. L’azione nasce dal desiderio di partecipare e, come nel gioco, la presenza è attiva e globale. (Armando Sanna, Pasquale Scalzi – Teatrificio Esse)
Interpretare un ruolo in scena può consentire di espletare delle parti di sé non quotidiane che rifiutiamo e non ci permettiamo di conoscere che possono essere vissute attraverso la dimensione sicura del “personaggio” sospendendo, così, temporaneamente, le conseguenze delle proprie azioni pur concedendoci di ascoltare i vissuti che il “rappresentare” può generare. Il teatro diviene, in tal modo, un gioco di ruoli e di sensazioni che, attraverso l’interpretazione di storie reali o fittizie, consente di esplorarsi.
In questo senso il teatro assolve alla funzione di utile "percorso di vita" che nasce dal consentire la piena espressione e realizzazione di se stessi, superando pregiudizi e stereotipi, accogliendo dolcemente parti rifiutate della propria storia o di se stessi che possono essere rimesse in scena nella finzione e reincastrate nel proprio mondo interno. Dopo aver creato un luogo protetto di rappresentazione delle parti più intime di sé una persona può scoprire e ristrutturare la propria personalità attraverso il personaggio, lasciando cadere le maschere e accedendo alla propria vera identità, a ciò che può sentire di essere, trovandosi nei panni di ciò che nella quotidianità non è e non riesce ad essere.
Il teatro come percorso di sé, in questo senso, è un aiuto per comprendere meglio “chi si è” e “cosa si desidera essere una volta liberi da vincoli sociali”. (http://www.benessere.com/psicologia/arg00/teatroterapia.htm a cura di Monica Monaco).
Tramite la conoscenza corporea, l’ascolto e la concentrazione, si può arrivare a sperimentare la relazione movimento-parola, movimento-emozione, movimento-pensiero.
Ad esempio mediante gli esercizi di gruppo possiamo ottenere un clima d'insieme che permette a ognuno di esprimersi con fiducia e sicurezza, sperimentando nuove relazioni con l’altro.
Attraverso il gioco si affrontano i diversi aspetti della espressività sia teatrale che musicale: la respirazione, la voce, la gestualità, il ritmo e la musicalità, il ballo, lo spazio, la coralità, l’improvvisazione, il lavoro sul personaggio. (Armando Sanna, Pasquale Scalzi – Teatrificio Esse).
All’interno della propria formazione l’attore compie un lavoro che lo porta a rintracciare dentro sé gli stati d'animo, le situazioni emotive e relazionali e le proiezioni "psicodinamiche" che ogni spettacolo, anche il più "elementare", propone. Tutto questo diventa un formidabile metodo di auto-analisi e di auto-consapevolezza ed una preziosa occasione di riflessione e comunicazione se della nostra esperienza teatrale ne facciamo un percorso.
Entrare in empatia con il personaggio che rappresentiamo sulla scena, spesso diverso dal nostro modo di essere e di agire, richiede un "lavoro" su di sé, che parte dalla necessaria graduale consapevolezza di limiti e pregi personali e si esplica attraverso la valorizzazione di capacità e possibilità espressive talvolta "nascoste" o volutamente represse e allo stesso tempo fa prendere coscienza del "ruolo" che ognuno di noi gioca nella propria vita.
Le situazioni emotive e relazionali che ci si trova ad interpretare sul palcoscenico, manifestano le molteplici sfaccettature della “vita nella possibilità”, così da poter eventualmente riflettere sulle scelte personali operate, sui comportamenti normalmente agiti, sulle azioni e reazioni alle sollecitazioni degli altri individui e della società in senso lato (le leggi, le regole sociali, ecc.), su quanti e quali punti di vista le stesse situazioni che ci si pongono davanti possono essere affrontate, gestite, risolte o rimanere irrisolte.
Interpretare significa prima di tutto capire il mondo, il pensiero, la situazione emotiva, sociale e caratteriale di un altro che è il personaggio scenico, con il suo modo di essere e la sua cultura.
Certamente il teatro è "finzione" scenica, ma nel senso che l'attore prende "le distanze" da ciò ch'egli non è, precisando meglio tutto quanto in realtà sa di essere o vorrebbe essere, proprio "vestendo" i panni dell'altro, con tutta l'alterità possibile e le difficoltà comunicative connesse.
Recitare, inoltre, mette in contatto con l'autore, il suo pensiero, la sua "filosofia" e pone problemi di adesione culturale, morale, filosofica, religiosa, sociale.
Si vede l'esistenza da un altro punto di vista, anzi: da "altri" punti di vista, diversi e talvolta molto lontani dal proprio modo di vedere, con la necessaria conseguente consapevolezza dei propri limiti e, allo stesso tempo, della bontà delle proprie convinzioni.
E' un modo per confrontarsi senza scendere sul piano dello scontro con chi "non la pensa come me", diventando, quindi, un efficace mezzo di educazione alla tolleranza e al confronto, al rispetto di sè e degli altri.
Il teatro "praticato", inoltre, pone problemi di disciplina (bisogna rispettare delle regole imposte dal mezzo comunicativo e tecnico), di concentrazione e coordinamento con gli altri, di superamento delle proprie timidezze ed inibizioni comunicative, permettendo l'approccio ad una più libera (e meno sofferente) comunicazione di sé, all'interno di un "lavoro" avente finalità ed obiettivi comuni.
L'attore deve uscire da sé ed "entrare" nel processo comunicativo dello spettacolo, adeguando il proprio "codice" a quello degli altri attori, dell'autore, del regista e degli spettatori.
Uno spettacolo teatrale impone attenzione e studio del mezzo comunicativo: la voce e l'espressione, il corpo, il movimento, l'azione scenica nel suo insieme. Impone attenzione e studio del "significato", del "messaggio" e dei simboli utilizzati per trasmettere tale messaggio e richiede sacrificio, passione e volontà, ma allo stesso tempo diverte, appaga, soddisfa la naturale esigenza di dire e fare, di apparire e di auto-svelarsi, di comunicare in modo artistico, simbolico ed emotivamente significativo.
Ecco perché si vede come utile e possibile l'applicazione delle tecniche attorali, con la sperimentazione attiva ed effettiva del mezzo teatrale, nel difficile e allo stesso tempo fantasioso (nel senso di "poliedrico") campo della psico-terapia e dell'educazione in genere. (http://www.ilteatrodellanima.com/ del Dott. Pino Gargiulo).
A cura di Marco Mondani
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Orioli W., 2007, Teatroterapia, Erickson.
Orioli W., 2001, Teatro come terapia, Macroedizioni.
Sue J., 1997, Dramatherapy: Theory and practice 3. Routledge, NY.
Lewis P., Johnson D. Read, 2000, Current approaches in Drama Therapy, Paperback.
Rubit J., 2006, Expressive and creative Arts Methods for Trauma survivors, Paperback.
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Eiaculazione precoce - a cura della Dott.ssa Roberta Grassotti
L'eiaculazione precoce è uno dei disturbi sessuali maschili più frequenti ,dal momento che si calcola che ne soffre oltre il 40% degli uomini con meno di 50 anni. Ciò che maggiormente caratterizza questa disfunzione è l'assenza di controllo da parte del soggetto sul processo eiaculatorio, che spesso interviene cogliendo l'uomo quasi di sorpresa (Rowland,2005).
Si tratta quindi del presentarsi, persistente e ricorrente, di eiaculazione in seguito a stimolazione sessuale anche minima, oppure prima, durante o poco dopo la penterazione, comunque prima di quanto il soggetto desidererebbe.
Le cause di eiaculazone precoce sono molteplici e possono essere distinte in organiche e psicologiche, distinzione peraltro riduttiva che rischia di essere una semplificazione del problema, data la più frequente coesistenza di entrambi i fattori, in grado di potenziarsi vicendevolmente.
Tra le cause organiche di eiaculazione precoce, la brevità del frenulo costituisce un fattore importante data la possibilità di determinare un'aumentata sensibilità peniena, predisponendo al disturbo eiaculatorio in questione. Un'altra causa organica può essere rappresentata da un quadro di ipertiroidismo, facilmente diagnosticabile attraverso la valutazione plasmatica degli ormoni tiroidei (Schuster, Ohl, 2002).
Per quanto riguarda gli aspetti psicosesessuologici, non è stata ancora definita una causa certa a cui far risalire il sintomo, tanto che il panorama delle possibilità resta vasto e vario.
Diversi Autori sono comunque concordi nell'individuare una certa difficoltà da parte del paziente nelle relazioni interpersonali (Symonds et al., 2003; Althof, 2005). Ci sono uomini che soffrono di EP solo con alcune donne, mentre con altre no. Questo dato evidenzia il ruolo importante rivestito dal fattore psicologico -in molti casi- per quanto riguarda questa disfunzione.
L'eiaculazione precoce può rappresentare anche un sintomo sessuale secondario ad un altro disturbo; ad esempio può mascherare una difficoltà nell'erezione, oppure può essere la risposta ad una disfunzione sessuale della compagna. Sono molto frequenti infatti i casi di eiaculazione preceoce concomitanti a vaginismo o dispaurenia della partner.
Essendo questo sintomo variegato e multiforme, si evidenziano varie persone che fanno richiesta di intervento: uomini che non hanno una relazione proprio a causa dell'ansia associata all'eiaculazione precoce; coppie nelle quali non è presente una grave conflittualità tra i partner e dove il sintomo è presente da poco tempo, coppie caratterizzate da un legame stabile dove il sintomo può essere presente da lungo tempo.
La negligenza dell’uomo nel cercare una soluzione definitiva a questo problema è un comportamento che va cambiato. Le soluzioni all’eiaculazione precoce sono facili da applicare, sempre e quando non si ricorra solo ed esclusivamente a farmaci privi di ricetta medica, che causano effetti collaterali e i cui risultati sono, in ogni caso, passeggeri.
Il trattamento sessuologico dell’eiaculazione precoce mira a far sì che il soggetto acquisisca la percezione delle sensazioni che precedono l’orgasmo. Contemporaneamente vengono analizzate le ansie e le difficoltà individuali e di coppia, infatti a tal proposito, nel caso di una consulenza di coppia, spesso viene richiesto anche qualche colloquio individuale.
Inoltre la prescrizione di mansioni sessuali consente di osservare come la coppia risponde alla terapia e se ci sono resistenze che occorre analizzare.Le mansioni sessuali hanno l'obiettivo di aiutare l'uomo ad acquisire un maggior controllo volontario dell'esperienza orgasmica hanno tutte un comune denominatore: servono a promuovere la percezione, da parte del paziente, delle sensazioni erotiche che emergono durante la fase di eccitamento.
Il principale compito terapeutico è quello di stimolare l'esperienza percettiva prima deficitaria, cioè di mettere il paziente in “contatto” con le proprie sensazioni preorgasmiche.
Bibliografia:
Althof S.E., (2005), “Psychological treatment strategies for rapid ejaculation: rationale, practical aspect, and outcome”, World J. Urol., 23:89-92.
Rowland D.L. (2005), “Psyhophysiology of ejaculatory function and disfunction”, World J. Urol., 23: 82-88.
Schuster T.G., Ohl D.A. (2002), “Diagnosis and treatment of ejaculatory dysfunction”, Urol. Clin. North Am., 29: 939-48.
Symonds T., Roblin D., Hart K., Althof S., (2003), “How does premature ejaculation effect a man's life”, Journal of Sex and Marital Therapy, 29 (5): 361-370.
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Eventi
15.06.2013 - 15.06.2013
Incontro di Trance Dance
La Trance Dance è un " viaggio all'interno di...
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La trance dance è un'antica danza di guarigione che conduce i partecipanti ad un "viaggio interiore" non limitato alle nostre percezioni normali di tempo/spazio. I viaggi rituali con la danza sono stati una parte vitale delle culture sciamaniche e delle danze orientali per migliaia di anni. Il nostro approccio contemporaneo alla Trance Dance mette insieme la ricchezza di questi antichi rituali e tecniche moderne in modo efficacie. Una di queste è l'impiego della benda o bandana che copre gli occhi, escludendo in questo modo la fonte principale di distrazioni per il cervello e stimolando una "visione interiore" che rivela significati nascosti e risposte a molte delle domande più importanti della vita.
In tempi più remoti, i "rituali di Trance Dance" venivano eseguiti soprattutto di notte poiché l'oscurità era un contesto necessario perché i partecipanti si concentrassero sulla loro esperienza interiore o "visioni". L'oscurità crea uno stato di sospensione o "tempo di arresto" uno stato alterato o "di trance" in cui non c'è altro che il proprio Sé. E' all'interno di questo viaggio interiore che si collegano corpo, emozioni, percezioni, sensazioni. La bandana diviene perciò uno strumento spirituale che consente ad ogni partecipante di bloccare ogni eventuale distrazione e di divenire un testimone della ricchezza della propria esperienza.
Non serve saper ballare, è una pratica libera che porta ad essere in contatto con la propria libertà espressiva; i pensieri oscillano e possono liberarsi, le emozioni negative possono essere spazzate via dal respiro e dal movimento libero.
Del resto la prima cosa che spontaneamente ognuno di noi fa per segnalarsi e per segnalare se stesso è il movimento, il nostro gesto primario di espressione e in quanto tale può favorire cambiamenti interiori.
Attraverso la Trance Dance noi "scompariamo", diveniamo più simili al nostro spirito e allo stesso tempo meno attaccati alle nostre difficoltà, rendendo possibile in questi momenti lasciare andare i nostri problemi e cercare soluzioni non attraverso schemi logico-razionali, ma emotivi e creativi.
L'incontro avverrà Sabato 15 Giugno dalle ore 18:30 alle ore 21:00
Costo: 15 €
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11.05.2013 - 11.05.2013
Seminario - Coppia e felicità: un Binomio Realizzabile
Studio Adel nel prendersi cura (in senso...
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da una donna che va oltre le singole rivendicazione dei partner, che va oltre le ragioni le differenze, le somiglianze, la buona comunicazione ecc.
Studio Adel centra la propria attenzione al “figlio”, alla parte più fragile dello stare assieme, che non è l’uno o l’altro componente della coppia
ma bensì la relazione stessa in quanto frutto di una unità imprescindibile agli individui che in quel momento la costituiscono.
Essendo coscienti che quello che porterà la coppia verso una esistenza serena è fuori dalle rivendicazioni, dalle posizioni, dalla diversità…
ma è intrinsecamente correlato al generare felicità.
I costi per chi fa già un percorso interno allo studio sono di 30 € e per gli esterni 45 € comprensivi di tutto.
Numero massimo di partecipanti: 20 persone. Il seminario si attiverà con un numero minimo di 10 persone.
Programma
ore 15:00 - inizio del seminario
ore 17:00 - break coffee
ore 17:15 - ripresa dei lavori
ore 19:00 - termine dei lavori
Il seminario sarà condotto da Roberto Ciabatti: Counselor Biosistemico nella relazione d’aiuto. Docente formatore e responsabile della linea
Management Relazionale per Overnet Education Milano, Studio Adel Prato, Arpes Roma. Esperto di “logica dei processi relazionale e di coppia”
per Arpes Roma. Docente dela Scuola di Counseling Biosistemica di Prato.
Studio Adel - Via Libero Grassi, 78 - 59100 - Prato - Tel. 0574 052191 - 392 5002710 - Email info@studioadel.it - www.studioadel.it
